IL GRANDE CERCHIO E L'ARCHETIPO DEL PADRE

Nella Torà e nel Talmud, come nella letteratura cabalistica, troviamo numerosi accenni sia alla
nostra origine bisessuale sia alla nostra natura spirituale androgina. Nella Genesi, il racconto
della creazione del primo essere umano ci dice che «Dio creò l'uomo a sua immagine... maschio
e femmina li creò» (Gn I:27). Il primo trattato del Talmud spiega che Adamo ed Eva erano
originariamente un solo essere, parti di un unico tutto, ma che furono separati perché potesse
avvenire la procreazione; e il più antico midrash aggadico, Bere'shit Rabbà,
specifica: «Quando il Santo – benedetto Egli sia – creò il primo uomo, lo creò androgino
(androgynos), poiché è scritto «Maschio e femmina li creò». Lo Zohar, a sua volta, spiega che «l'uomo [primordiale] della emanazione era sia maschio che femmina, dal lato sia del Padre che della Madre... e questo è l'uomo a 'due facce', e più oltre cita le parole che Adamo dice di Eva: «Osso del mio osso, e carne della mia carne», per mostrare, come ha notato Tishby, «che essi sono uno e che non c'è affatto separazione fra loro». Lo Zohar spiega anche che questa bisessualità non significa un ermafroditismo fisico, ma una androginia spirituale: «Fai attenzione, tutti gli spiriti sono composti di maschio e femmina, e quando escono nel mondo, escono come maschio e femmina: e, dopo, i due elementi vengono separati»

ciambellato la linea del suo corpo in un cerchio, divora la propria coda. Esso rappresenta la pienezza e la permanenza dell’essere prima dell’irruzione del tempo con i suoi processi di separazione, quando tutta la realtà è ancora fusa in una sorta di caos indifferenziato. L’uroboro allude sia ai primordi, ai tempi antecedenti alla creazione del mondo, quando inizio e fine si congiungono senza contrapporsi, sia allo stato fetale della vita umana, quando l’io e l’altro sono un “noi” indivisibile e non esiste ancora nessun lutto. Si tratta di una realtà magmatica originaria, identificabile con una potenzialità generativa femminile non giunta al suo compimento. Al momento della nascita, sia cosmica sia biologica, le cose infatti si scindono e prendono una loro collocazione spazio-temporale che le distanzia reciprocamente.
Prima del tempo tutto era unito e compatto, formando una realtà di mescolanza incestuosa, senza distinzione chiara fra maschile e femminile e senza una definizione dei ruoli rispettivi.
Mentre nel Simposio di Platone si dice che l'ermafrodito originario fu diviso in uomo e donna perché il suo potere e la sua forza rappresentava una minaccia per gli dei, secondo la Cabala la volontà di Dio è che l'uomo ritorni di nuovo intero, acquisendo una unità che è il vero fine dell'esistenza: la concezione cabalistica, infatti. è che «l'anima possiede una forma che il corpo manifesta nel mondo tangibile... La forma bisessuale dell'anima è immagine della forma divina, che è anch'essa. bisessuale...La struttura dell'anima riflette la struttura di Dio e l'una come l'altra si riflettono nella struttura del corpo umano. Quest'ultimo, da solo, è solo un riflesso parziale e incompleto della struttura; esso costituisce una totalità e riflette completamente quella struttura solo quando è unito alla donna»
Elenco degli archetipi del femminile.
1. Le dee vergini: Artemide, Atena, Estia
2. Le dee vulnerabili: Era, Cerere, Persefone.
3. La dea alchemica: Afrodite.
ARCHETIPO DEL PADRE
L’archetipo della madre è senza alcun dubbio fondamentale per i primi anni di vita, poiché come abbiamo visto, è l’accoglienza, l’accudimento, è il mondo stesso del bambino. Senza la figura del Padre, d’altra parte, il bambino può vivere uno squilibrio molto accentuato tenderà morbosamente di rientrare nel grembo della madre. Non tanto per i complesso di Edipo, ma proprio un rifiuto di affrontare il mondo della realtà e crescere. La figura del Padre fa un processo detto di “castrazione” stacca il figlio dalla madre per potarlo con sé nel mondo degli adulti che è il mondo della responsabilità, degli oneri e degli onori.
Se la madre rappresenta “il principio di piacere” perché rappresenta come abbiamo detto, l’accudimento, l’accoglienza, il nutrimento; il padre rappresenta “il principio di Realtà” poiché ci mette d’avanti un mondo che non è nostra Madre, un mondo diverso, duro se vogliamo, un mondo in cui non c’è nostra madre a difenderci sempre, un mondo in cui bisogna lottare per portare avanti le cose in cui crediamo, un mondo difficile e che dobbiamo diventare forti, diventare Guerrieri se vogliamo sopravvivere.
Ma guardiamo più da vicino questa figura del Padre archetipico.
Agli albori dell’uomo la prima dea che veniva venerata era la Grande Madre, infatti erano piccoli gruppi matriarcali dove ciò che contava non era il territorio o il potere ma l’accoppiamento. Gli ominidi di accoppiavano tra in mondo indistinto (come fanno ancora alcune scimmie), come fanno molti animali, tra consanguinei perché erano guidati dall’istinto della madre terra e la loro “coscienza di sé” era come quella di un bambino di pochi anni di vita, facevano vita semplice, primordiale, forse neanche cacciavano ancora, ma si nutrivano di vegetazione principalmente.
La figura del padre cominciare ad equilibrare la figura della madre già poco tempo prima degli egizi creando così l’equilibrio della coppia divina. Iside e Osiride; Era e Crono; Shiva e Vishnu e tante altre divinità della dicotomia terra/cielo.

Se la madre rappresenta “il principio di piacere” perché rappresenta come abbiamo detto, l’accudimento, l’accoglienza, il nutrimento; il padre rappresenta “il principio di Realtà” poiché ci mette d’avanti un mondo che non è nostra Madre, un mondo diverso, duro se vogliamo, un mondo in cui non c’è nostra madre a difenderci sempre, un mondo in cui bisogna lottare per portare avanti le cose in cui crediamo, un mondo difficile e che dobbiamo diventare forti, diventare Guerrieri se vogliamo sopravvivere.
Ma guardiamo più da vicino questa figura del Padre archetipico.
Agli albori dell’uomo la prima dea che veniva venerata era la Grande Madre, infatti erano piccoli gruppi matriarcali dove ciò che contava non era il territorio o il potere ma l’accoppiamento. Gli ominidi di accoppiavano tra in mondo indistinto (come fanno ancora alcune scimmie), come fanno molti animali, tra consanguinei perché erano guidati dall’istinto della madre terra e la loro “coscienza di sé” era come quella di un bambino di pochi anni di vita, facevano vita semplice, primordiale, forse neanche cacciavano ancora, ma si nutrivano di vegetazione principalmente.
La figura del padre cominciare ad equilibrare la figura della madre già poco tempo prima degli egizi creando così l’equilibrio della coppia divina. Iside e Osiride; Era e Crono; Shiva e Vishnu e tante altre divinità della dicotomia terra/cielo.

In ogni donna, in ogni uomo ci sono un padre e una madre archetipici, in quanto memoria primordiale della genesi dell’umanità nell’inconscio collettivo. I genitori effettivi vengono esperiti anche in virtù di una predisposizione archetipica insita negli esseri umani, cioè in funzione del modo in cui l’inconscio individuale recepisce gli archetipi del padre e della madre che sono nell’inconscio collettivo. In molte concezioni religiose emergono le figure originarie di Padre Cielo e Madre Terra:
Padre cielo: simbologia diurna e solare;
Madre Terra: simbologia notturna e lunare.
1. Padre cielo è il principio creatore che il monoteismo assume come dio padre, il quale è anche la massima autorità che vigila e impera su ogni cosa che esiste sulla terra e nell’universo. Un simbolo antichissimo del padre è il triangolo con l’occhio che osserva e giudica ogni cosa, pertanto rappresenta anche l’inviolabilità delle leggi supreme e di tutti i principi fondativi. L’occhio del padre ha bisogno di vederci chiaro e quindi di fare chiarezza su ciò che appare indistinto, molteplice, confuso. Il Dio padre del monoteismo, quindi delle religioni del Libro, ha una funzione paterna religiosa, come religio, legame con lo spirito, nonché protezione e di comando. Questa re-ligio paterna viene proposta all’umanità come ricerca essenziale della con-centrazione, in quanto impulso spirituale a trovare un proprio centro- ciò che Jung considera l’archetipo del sé- secondo una propria responsabilità individuativa che consente di connettersi alla totalità e al divino.
2. La re-ligio della Grande madre, invece, viene sentita come funzionalità con la totalità, e quindi come funzione collettiva con la divinità, ed in questo senso positivo si può adoperare la parola con-fusione in opposizione alla con-centrazione paterna. La con-centrazione paterna senza la con-fusione materna, rischia di condurre all’individualismo maniacale, egoistico e prepotente, all’integralismo, secondo un eroismo prometeico che separa dalla totalità. Viceversa la con-fusione materna senza la con-centrazione paterna rischia di condurre ad una dispersione del sé, e ad una vera e propria confusione e dissociazione psichica, e quindi acquisisce un senso fortemente regressivo e negativo. Detto in termini più semplici la madre insegna la relazione e quindi la capacità di unirsi alla fusionalità dell’amore, che confonde gli uni negli altri. Il padre insegna a prepararsi alla relazione, sviluppando la capacità di relazione con se stesso, con il proprio sè, e questo comporta anche la capacità di stare da soli, senza l’urgenza della relazione. Il padre dunque spinge a concentrarsi sull’individualità in quanto polo capace di autonomia, e che perciò poi avere una relazione più equilibrata con l’altro polo, anch’esso capace di autonomia. La funzione materna è essenziale altrimenti i poli rischiano l’isolamento. La funzione paterna è essenziale altrimenti i due poli si annientano nella relazione. Solo l’equilibrio equanime tra funzione materna e funzione paterna possono orientare verso il sé, verso la propria autenticità.
IN NOME DEL PADRE
Padre e madre archetipici quindi si compensano e dovrebbero avere pari valore. Purtroppo il monoteismo con l’intento di riequilibrare una spiritualità arcaica che in tempi remoti era troppo riferita alla grande Madre ha finito con il negarla, producendo molteplici sbilanciamenti sul piano psico culturali, sociale storico e anche nella psiche individuale. Innanzitutto l’imposizione della preponderanza maschile come re-ligio paterna ha generato una cultura patriarcale fondata su concezioni di potere maschile che considerano l’esercizio del potere anche attraverso la forza bruta. Ciò ha contribuito sviluppare logiche e tecniche di guerra e regimi basati sul potere dispotico, e quindi su una prepotenza giustificata da una concezione teologica monoteista riferita al potere assoluto del Dio Padre. Il padre in ogni ceto sociale, in quanto capofamiglia, diventa portatore del “nomos”, quindi della legge divina che impone la supremazia del maschile, ma anche quella terrena, (legge del cognome).
Ovviamente ciò ha generato non poche disfunzioni nella relazione tra uomo e donna, con gravi ricadute su una patologica concezione generale sulla famiglia e della sessualità. Il potere del Dio Padre monoteista, unico e assoluto è stato impiegato strumentalmente dal potere maschile terreno, delle classi subalterne. Alla base del moderno diritto di famiglia ancora vigente, ci sono dispositivi volti a fare del padre, anche quello delle classi più sfruttate, una sorta di sentinella al servizio dei ceti più potenti e delle classi dominanti. Il dio padre istauratosi in modo da negare il politeismo e quindi anche le divinità femminile originaria, ha fornito la giustificazione teocratica per ripetere uno stesso modello politico, patriarcale e
assolutista, anche sulla terra. Questo patriarcato dispotico è quindi diventato anche un modello interiorizzato nella psiche individuale e collettiva, generando non poche disfunzioni e sofferenze, nella vita intrapsichica, interpersonale e sociale. Tuttavia la rivolta delle donne non dovrebbe cadere nel disprezzo misantrico, e quindi ripetere per vendetta l’errore di coloro che hanno imposto il dispotismo paterno che ha negato il femminile, ma dovrebbe invece dare il suo fondamentale contributo critico e costruttivo per riequilibrare la figura paterna, ricercando insieme al maschile più consapevole una nuova armonia. Questa concezione di vera compensazione e parità tra energie maschili e femminili, dovrebbe essere ricercata in ciascun individuo maschio o femmina, in quanto gli archetipi del padre e della madre sono sempre attivi nella psiche. Pacificarsi con i propri genitori problematici, vuol dire anche pacificare i genitori archetipici dentro di noi, ritrovare l’equilibrio tra madre terra e padre cielo. In fondo sono questi i veri genitori ancestrali di ogni figlio o figlia. I genitori reali per quanto siano unici e assoluti nel loro valore sono ramo da cui prende il frutto (il figlio) ma questo viene dall’albero e dalle sue antiche radici, e quindi da un’energia vitale che congiunge la terra al cielo.

Qui ci dedichiamo in modo particolare ad una riflessione sul padre in senso archetipico, ma ciò, ovviamente, comporta anche osservare la relazione che esso ha con la madre archetipica. Ciò serve non tanto per acquisire una qualche conoscenza astratta in più, ma poterla impiegare per meglio comprendere i nostri genitori, in particolare il nostro padre e quindi per riparare e migliorare la relazione che abbiamo con essi, nella realtà esteriore, come quella del mondo interiore.
Il quarto comandamento recita: onora il padre e la madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti da il signore Dio tuo. Questo comandamento va inteso non tanto nel senso di genuflettersi dinnanzi ai propri genitori, ma di considerarli nel profondo della loro natura vitale e archetipica. La parola “onora” dall’aramaico vuol dire infatti: “analizza”, e quindi esorta ad analizzare i propri genitori con il cuore e con la mente, giacché questo consente di prolungare i propri giorni, cioè di intraprendere il proprio camminino, in modo autentico, libero da condizionamenti genitoriali inconsci.
Tuttavia la giusta ribellione al patriarcato e al machismo, comporta anche una condanna sommaria e generalizzata della figura e della dignità maschile, per cui il padre viene spesso considerato come il principale colpevole delle disfunzioni familiari, fino a diventare il capro espiatorio. Infine va detto che i comandamenti, le leggi, vengono dati dal Dio Padre, attraverso Mosè che è anch’esso un padre del popolo, e che quindi il monoteismo, sebbene poi nel cristianesimo assuma anche la figura di Maria, si basa su una concezione del divino essenzialmente maschile, la quale si incarna con cristo, il Dio che si fa uomo. Dunque la principale preghiera è il Padre Nostro. L’ultima frase del padre nostro recita: Libera dal male, e quindi chiede implicitamente di essere liberati dalla con-fusione, dalle tenebre, dal dubbio, da tutto ciò che appare ambiguo. In un certo senso il padre archetipico vuole liberarci da un eccesso del materno, che rischia di non farci maturare, di restare con-fusi con la matrice materna.
Vi sono molteplici modi di cadere nella seduzione della Grande Madre negativa, che divora e confonde, per il desiderio di ritornare spensieratamente bambini. Diventare adulti richiede con-centrazione, rinuncia, sacrificio, disciplina, richiede l’acquisizione di un principio di realtà che è disponibile a porre in secondo piano il principio del piacere. Un buon padre archetipico dentro di noi è dunque importante, ma solo a patto che non arrivi a rinnegare la madre archetipica per imporre il suo assolutismo dispotico. Infatti anche la con-fusione con la totalità è un’esperienza maturativa fondamentale: il sentirsi parte del tutto, il disperdere il proprio io nell’universo, il lasciarsi andare nell’amore e nel sentimento, energie vitali che sono costitutive del principio di sapienza femminile e dell’archetipo materno. Solo una vera e paritaria combinazione tra padre e madre, divini e terreni, può garantire l’evoluzione nella sicurezza e nella possibilità di fondare una cultura umana, capace di distaccarsi dalle leggi della natura e di rispettarle, e quindi di vivere nella grazia dello spirito vitale. L’unica forma religiosa che si fonda pienamente sull’equilibrio dei due archetipi è la Gnosi e quella dei nativi americani. Questo modo di concepire la spiritualità in senso monoteista ha effettivamente permesso l’evoluzione della civiltà, attraverso nuove regole sociali, ed anche di sperimentare la natura senza invasività delle interpretazioni magiche. Ha permesso una maggiore razionalizzazione delle facoltà
spirituali e intellettuali a favore di una coscienza analitica e quindi più scientifica. Il patriarcato ha avuto un senso evolutivo, ma poi è diventato involutivo e regressivo nell’imposizione dispotica e assolutista del suo potere (perché poi non c’è stato integrazione femminile l’unire per esempio l’astrologia con l’astronomia) arrivando così ad impiegare la scienza, l’intelligenza analitica, e anche la stessa religione per giustificare lo sfruttamento in dissoluto della natura e sopraffare il prossimo.
Il rischio del padre archetipico messo male dentro di noi, e nel mondo, ci porta a vivere secondo un principio di realtà alquanto povero e patologico, dove le ragioni della mente sono sorde alle ragioni del cuore, con tutta una serie di conseguenza mortificanti e patologiche, per sé, e per gli altri e per la vita in generale. Gli antichi miti sulla figura paterna, vista dalle molteplici raffigurazioni del politeismo, ci indicano che è importante liberarsi dal male del padre, cioè da tutto ciò che rischia di renderlo regressivo, involutivo e dispotico. In tal senso i miti forniscono significative chiavi di lettura psicologica per comprendere certe disfunzionalità della figura paterna in ogni epoca, inclusa quella attuale.
il padre nostro del monoteismo ci insegna un assoluta sottomissione al padre, e quindi al nostro padre – pena l’ira di Dio – gli antichi miti sul padre insegnano che per evolvere e maturare è anche opportuno individuare certe sue disfunzionalità quindi anche a ribellarsi ad esso. Vedremo in seguito le disfunzionalità paterna attraverso i miti originari della genealogia che sono Urano, Saturno e Giove. Adesso stiamo affrontando come il principio di realtà paterno possa diventare concretismo ovvero incapacità di simbolizzazione, che è anche incapacità di unire e di mediare tra gli opposti, capacità della grande madre. Il padre archetipico, ma spesso anche il nostro vero padre viene interiorizzato come una funzione mentale condizionata da un realismo meccanico, il cui scopo essenziale è lavorare e produrre. D’altra parte il rifiuto di questa interpretazione meccanica del realismo spinge a rifugiarsi tra le braccia della Grande Madre, che però come abbiamo detto sopra, senza armonia con il padre archetipico, diventa divorante, attraverso un modo di vivere confusionario, ed edulcorato da un sentimentalismo accomodante quanto effettivamente fuori dalla realtà e perciò delusivo e dispersivo. Se invece si aderisce alla meccanica del realismo paterno in modo eccessivo disequilibrato rispetto alla grande madre, allora subentrano altri tipi di follia e di negatività. Il padre archetipico, senza una buona armonia con la madre archetipica, impone un principio di realtà che finisce per negare la realtà psichica e con lo giustificare un modo di vivere basato sull’egoismo, il potere, la supremazia, il senso maschilista e quindi fallico-narcisista. La grande madre che ha la grande sapienza dell’unione deve oggi curare il padre archetipico malato, non separandosi conflittualmente da esso, ma consentendogli di riscoprire l’armonia, la relazione, in una equilibrio tra funzionalità e concentrazione. Ciò genera nelle migliori delle ipotesi normosi cioè un iper-adattamento indolente parassitario alla vita e varie forme di alessitimia, intesa come incapacità di simboleggiare, di vedere oltre la realtà superficiale delle cose.
IL COMPLESSO PATERNO.
Un complesso è in sintesi una condizione psicologica che crea problemi dovuta sia a questioni coscienziali, relazionali e riferibili alle esperienze passate dell’infanzia, e quindi all’inconscio individuale, interna più profonda, a ovvero ad una difficoltà ad armonizzare il proprio vissuto con determinate costellazioni archetipiche. La parola complesso è stata coniata da Jung per poter definire non soltanto una condizione psichica soggettiva, ma anche il modo di essere in relazione con gli archetipi dell’inconscio collettivo, e quindi con forze che agiscono in noi in modo relativamente autonomo. Il complesso perciò indica anche una modalità tipica di ciascuno per la quale certi pensieri e certe emozioni si impongono autonomamente alla coscienza, almeno fino a quando non si comprendono le componenti archetipiche che determinano questa relativa perdita della padronanza di sé. Un complesso paterno dunque non dovrebbe essere interpretato cercando solo di capire quali problemi si hanno con il padre, o quali problemi ha il padre, ma come questi problemi sono vissuti in senso archetipico, e quindi rispetto a quali fattori universali viene interpretata una disarmonia con il padre. Va subito detto che il padre può generare non pochi problemi nella vita dei figli. In senso archetipico un padre disfunzionale comporta disturbi sull’asse Io-Sé. Ne risulta o un’ipertrofia dell’ego o una sua debolezza, quindi una difficoltà nel processo di individuazione verso il sé: l’archetipo centrale che consente di vivere in modo più equilibrato nella consapevolezza di dover ricercare una relazione armonizzata tra mondo interiore ed esteriore, tra realtà psichica e realtà esperienziale.
Possiamo parlare di padri abbandonici, assenti, prepotenti, incoerenti, narcisisti, giudicanti, punitivi, indifferenti e così via… ma poiché tutti abbiamo avuto un padre, e nel nostro inconscio la figura del padre esiste anche se non lo si è mai conosciuto, al fine di riparare il nostro padre interiore dobbiamo avere una maggiore conoscenza del padre archetipico e delle sue funzionalità nella relazione con i figli e con la madre archetipica, della quale pure abbiamo acquisito un’interiorizzazione. In termini junghiani la funzione archetipica del padre è quella di orientare verso il sé, l’archetipo centrale della psiche che sta tra inconscio e conscio, tra soggettività e universo. L’interiorizzazione del padre e della madre reale risente delle disarmonie della coppia genitoriale, ma la possibilità di riparare tale interiorizzazione dipende anche dalla possibilità di entrare in contatto simbolico con la realtà del mondo interiore, quindi con i genitori archetipici di cui abbiamo parlato. La questione di cui ci occupiamo prevalentemente è di come viene interiorizzata la figura paterna rispetto ad un equilibrio tra principio di realtà e principio del piacere, e più in particolare di come questo principio di realtà possa portare ad un indebolimento della capacità di vedere il mondo interiore al fine di imporre una visione troppo chiara, logica e meccanica del mondo interiore. Da ciò possono derivare fattori essenziali che, nelle infinite varianti soggettive, determinano aspetti costitutivi essenziali del complesso paterno. Un padre equilibrato non è essenzialmente meccanico e concretista, esso incoraggia lo spirito anche attraverso le idee, ideali, valori, immaginazioni creative. Il coraggio ha bisogno di recepire un senso ultimo che va al di la dell’interesse immediato e delle cose stesse. Più della madre, il padre, coerente con il suo archetipo fondante, invita i figlia ad affrontare la realtà esterna alla famiglia, e non difendersi restando nella sicurezza della vita familiare. La madre in genere è più protettiva, invita a stare attaccati alla famiglia, emozionalmente e praticamente. Il padre invece sospinge verso l’esterno, invita a conquistare autonomia, a staccarsi dalla famiglia. Il padre, come si celebra in molti riti matrimoniali, porta la figlia all’altare, la dona, in un certo senso simbolico ed anche concreto, ad un altro uomo per far nascere un’altra famiglia. La madre della figlia tende a inglobare la nuova famiglia del genero nella sua, perciò le suocere risultano essere piuttosto pressanti, e se non stanno attente possono risultare talmente ingerenti da essere considerate odiose e ostili.
PSICOMITOLOGIE DEL PADRE
Nella visione psicomitologica di Jung e di Hillman, gli antichi miti erano una sorta di psicologia ante-litteram che raccontava la situazione psichica interna alla collettività e all’individuo. Nella mitologia sono molteplici le storie distruttive riferibile alla figura paterna. Qui cogliamo alcuni aspetti dei primissimi padri e figli della genealogia mitica che furono Urano, Crono/Saturno e Giove/Zeus. Saturno evirò il padre Urano, poi però venne spodestato da suo figlio Giove. Urano era Padre Cielo che se ne stava eternamente legato a Madre terra in una copula infinita, dalla quale non potevano nascere figli, giacchè non si staccavano mai. Crono era l’unico che era riuscito a farsi partorire con vari stratagemmi della madre, e fu anche colui che con un falcetto evirò il padre per staccarlo dalla madre e fare modo che potessero nascere gli altri dei. Ma poiché Crono (il romano Saturno) era il Dio del tempo, dall’evirazione del padre Urano l’universo dovette incominciare ad esistere non più secondo un’eternità indistinta, senza inizio né fine, ma funzione del tempo. Era nato il tempo nella sua linearità e consecutività secondo l’idea che in modo più o meno metafisico possono avere gli umani.
Ma un’altra cosa sorprendente fu che il fallo di Urano cadendo nel mare generò immense spume bianche dalle quali nacque Afrodite, infatti il suo nome vuol dire: “colei che nacque dalle spume del mare”. Possiamo quindi pensare ad Afrodite, la dea dell’amore, come a ciò che resta dell’eternità, giacché il sentimento amoroso viene percepito da noi umani come un’energia che va al di là del commensurabile, del tempo e dello spazio. Ecco allora che un figlio castra il padre e non viceversa, affinché possa svilupparsi la vita, l’amore e il tempo dell’umanità. A sua volta questo figlio – Crono/Saturno- divenne padre grazie alla sua compagna: la dea Era. Anche lui aveva problemi con i figli. Il mito narra che era invidioso della vitalità dei figli e sistematicamente li divorava non appena venivano partoriti da Era. Questa riuscirà a salvare il figlio Zeus dando in pasto al padre un involto che pareva quello di un figlio, mentre invece conteneva una pietra. Altri racconti dicono che Era fece inscenare danze e musiche estenuanti da guerrieri e danzatrici, al fine di distrarre Saturno e poter mettere in salvo Zeus affinché non fosse mangiato dal padre. In seguito Zeus, salvato dalla madre, quindi da un’energia archetipica femminile, spodestò Saturno, e quindi il mito racconta che non bisogna soggiacere agli umori saturnini e divoranti del vecchio padre, se si vuole diventare come Giove, cioè gioviali, padroni di se stessi e del proprio olimpo interiore. Giove rappresenta quel centro attraverso il quale vi può essere una mediazione tra conscio e inconscio, e tra quelle forze archetipiche, simboleggiate dagli dei del mito che lo abitano.
Giove fu indulgente verso Saturno, consentendogli un esilio dorato, ove sarebbe potuto stare sereno tra fasti e giochi (poi celebrati nei Saturnalia, antesignani del carnevale). Dunque il figlio si oppone al potere fagocitante del padre in nome di un mondo nuovo più libero e più propizio, ove sia possibile un migliore equilibrio tra principio di realtà e principio del piacere, dove tutti gli dei e le dee possano compiere le loro gesta ed esperienze, integrando luci ed ombre, il bene e il male. È chiaro che anche Giove come Dio Padre inaugura quella dominanza del maschile patriarcale che si separa dalla Grande Madre e la sottomette, tuttavia nel politeismo greco vi era un relativo equilibrio valoriale e simbolico tra divinità maschili e femminili; un equilibrio che dovrebbe essere preservato anche nello psichismo individuale collettivo. Si potrebbe allora dire che i miti più antichi sul padre indicano che il padre non va accettato come potere dominante assoluto, ma che la sua figura deve correggersi in funzione di un maggiore equilibrio tra maschile e femminile. Freud per confermare l’universalità del complesso di Edipo, aveva osservato il senso psicologico dell’uccisione del padre nella letteratura e nel mito. I miti che narrano della lotta tra padri e figli possono essere letti solo parzialmente secondo l’idea di Freud espressa in totem e tabù, opera che analizza arcaici rituali durante i quali i guerrieri giovani uccidevano i vecchi padri e si nutrivano delle loro carni, per incorporare il potere, ma in fondo per potersi garantire un rassicurante ed edipico ritorno alla Grande Madre. Una lettura archetipica di questi miti, di ordine junghiano ed hillmaniano, deletterelizza la relazione pulsionale e affettiva con il padre o la madre reali, ed evidenzia aspetti energetici più profondi dell’inconscio individuale e collettivo. Questi miti hanno quindi una loro valenza terapeutica immaginale quando vengono interpretati ad un livello più simbolico e meno concretista.
LE MADRI E I PADRI ARCEHTIPICI
Abbiamo detto che le madri archetipiche sono: Era, Persephone, Cerere; mentre i padri archetipici sono: Zeus, Crono, Ade e Poseidone. Vediamo le loro caratteristiche.
L’archetipo del padre:
Zeus: regno del cielo. Volontà, potere, pensiero
Poseidone: regno del mare. Emozione e istinto
Ade: regno sotterraneo. L’oscuro e l’invisibile
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